La città di Caltagirone sorge a cavallo tra i monti Erei ed Iblei, in provincia di Catania.
La storia della ceramica di Caltagirone è scritta nel nome stesso della città, che deriva dal termine arabo “Qal’at al Ghiran”, che significa, appunto, “Castello dei Vasi”.
E’una cittadina dalle antichissime origini, una delle più preziose del Mediterraneo e, per l’eccezionale valore del suo patrimonio monumentale che caratterizza il centro storico, nel 2002 è stata insignita del titolo di “Patrimonio dell’Umanità” da parte dell’Unesco.
Tra le mura di Caltagirone abitarono bizantini, arabi, genovesi e normanni segnando la sua storia millenaria e influenzandola soprattutto per quel che concerne la produzione artistica.
Bisogna tornare indietro nel tempo, all’epoca in cui gli arabi nell’827 conquistarono la Sicilia. I ceramisti arabi si sono stabiliti a Caltagirone, città dove hanno dato impulso all’arte ceramica facendovi brillare i procedimenti tecnici portati da loro dall’Oriente.
In particolare, l’invetriatura, un rivestimento di tipo vetroso dato alle terraglie e alle maioliche allo scopo di renderle impermeabili ai liquidi e fare da fondo alla decorazione incorporandone i colori. L’invetriatura è costituita di due principali elementi, macinati insieme: una composizione silico-alcalina, detta “marzacotto”, e un composto di piombo e stagno calcinati insieme detto “piombo accordato”.
Le ragioni per cui la ceramica di Caltagirone nel Medioevo ebbe notevole impulso sono da ricercare: nella buona qualità delle argille, di cui abbonda la città, e nella presenza di boschi che fornivano la legna per la cottura dei manufatti nei forni.
I produttori di miele, alimentando e favorendo lo sviluppo dell’industria del miele, stimolavano i ceramisti a produrre i recipienti di terracotta per la conservazione del miele. Le quartare caltagironesi, per contenere il miele, erano note ovunque.
Nel Medioevo, il fatto che a Caltagirone il numero degli artigiani dediti all’industria del vasellame invetriato fosse rilevante è confermato dalla notizia fornita da Francesco Aprile che racconta di fornaci sepolte da una frana nel 1346 sul fianco occidentale del castello e dell’esistenza, ai primi anni del Cinquecento, di un intero rione a fianco della chiesa di San Giuliano.